Essalamu Elikah!
> La solitudine è il peggior castigo per una colpa mai
> commessa: si può non sentirsi soli in mezzo al deserto, ma si
> può essere TREMENDAMENTE soli, in mezzo ad una folla di
> ciechi, se sei l'unico a vedere...
giustappunto... un confronto con chi fa la scelta controcorrente e si deve sentire 'colpevole' di una colpa tanto simile...
tratto da:
http://www.promiseland.it/view.php?id=1132
Mainstream
Il nostro mainstream è la cultura del biberon e del distacco; il latte artificiale e i suoi corollari...
Sostenere l’allattamento: secondo natura, controcorrente
Mainstream: questa è una di quelle parole, capolavoro di sintesi, che invidio all'inglese (come mothering, nurturing, empowerment). Letteralmente significa la “corrente principale”. In senso lato, è il comune modo di pensare, quello della maggioranza. Una volta mi sono dilettata con un'amica traduttrice a trovare il vocabolo italiano corrispondente: abbiamo pensato "la cultura/la gente omologata, la via del conformismo, il "gregge". Con il mainstream il comportamento medio si fa normalità, e la normalità si fa norma, regola.
Il nostro mainstream è la cultura del biberon e del distacco; il latte artificiale e i suoi corollari – le poppate ad orario, la doppia pesata, il ciuccio, le macchinette per decodificare i pianti – come parametro di riferimento di cosa è o non è normale, unità di misura e pietra di paragone di ogni allattamento, di ogni madre e ogni bambino. Sono strumenti, regole, linguaggi, oggetti che sono penetrati in profondità nel nostro quotidiano: tecnologie del biberon e dosi del latte artificiale sono ormai un sapere collettivo, cognizioni padroneggiate da tutti, nonne e zie e neonatologi, dal docente universitario fino all’ultima delle baby sitter.
Nessuno stupore, quindi, che numerosi operatori del settore – neonatologi, ginecologi, ostetrici, pediatri – non sappiano e glie ne importi poco di sapere dell'allattamento materno, il quale viene visto un po' come un optional di lusso che chi vuole e può si gode per qualche mese, ma che in fondo non incide particolarmente sul benessere del bambino e anzi dà spesso grattacapi che poi ricadono pure sul pediatra. Tanto l'idea che il latte artificiale "in fondo è ugualmente adeguato" è ben radicata nella mente di tutti, dai 2 a 70 anni, un'idea rassicurante e ben confezionata in un guscio accattivante, che tiene al riparo la mente di molti operatori dal senso di colpa che proverebbero, se dovessero prendere atto dell'inadeguatezza di certe informazioni e consigli, e delle conseguenze pesanti che questi hanno, a livello di salute di popolazione, sui loro pazienti.
Ecco, questa credo che sia la posizione più comune di quegli operatori che non muovono un dito per aiutare la mamma che allatta, anzi spesso scoraggiano. Non credo che ci sia malafede, anzi spesso c’è il desiderio di trovare una soluzione immediata alle difficoltà della mamma, una soluzione che abbia un’applicazione certa, quantificabile, affidabile, immediata per “far mangiare il bambino”: l’alimento formulato delle industrie… non credo che ci sia malafede, almeno non nella maggioranza dei casi; anche se qualche volta, di fronte a alcune mamme che riferiscono di consigli così accanitamente volti a far interrompere allattamenti che stanno funzionando benissimo, provo una punta di dubbio.
C'è poi anche un’altra grossa porzione di operatori - pediatri, ostetriche, puericultrici - che non meritano di essere collocati nel mucchio di chi "se ne infischia" dell'allattamento. Sono persone fermamente convinte della bontà di allattare e che pensano di fare il meglio per i loro pazienti. Alcuni di loro dedicano molto tempo ed energie a seguire individualmente le madri che allattano, le incoraggiano tantissimo a parole, utilizzano senza risparmio tutte le armi a loro disposizione (farmaci tradizionali e medicine alternative, tisane, paracapezzoli, creme per le ragadi e quant'altro) per alleviare i problemi di allattamenti zoppicanti, magari certe volte si chiedono anche chi glie lo fa fare, ma continuano perché conoscono l’importanza del latte materno e desiderano il meglio per i loro pazienti. Queste persone, a volte con decenni di pratica alle spalle, sentono di non avere nulla da rimproverarsi e ci rimangono molto male – per non dire seccati, offesi, feriti – quando si insinua che ci siano enormi lacune da colmare sulla semplice conoscenza della fisiologia. Anche se il concetto di educazione continua in medicina è ormai legge, e nessun operatore si sente squalificato quando gli si propone un aggiornamento sulla patologia del neonato, l’idea di dover tornare a studiare l’ABC del normale allattamento al seno viene sentito come mortificante; come se anni e anni di esperienza e di sforzi fossero stati vani e mal riposti.
Se questi sentimenti risultano comprensibili a livello umano, non è invece accettabile, a livello di sistema sanitario, che si continui a tollerare che nel campo della salute femminile (e dei lattanti) esistano tali sacche di ignoranza. La conoscenza del normale andamento dell’allattamento materno non può essere considerata una curiosità, una spigolatura, una nota di colore della cultura medica. Se ci fosse una simile mancanza di sapere riguardo alla terapia del diabete, o all'igiene dentale, tanto per dire le prime due cose che mi saltano in mente, si griderebbe allo scandalo; ma mentre all'informazione puntuale sulla prima ci pensano le industrie farmaceutiche e sulla seconda quelle dei dentifrici, sull'allattamento materno quale impresa è interessata a tenere aggiornati i medici? Una conoscenza che emancipa madri e bambini dalle industrie degli alimenti sostitutivi, dalle attrezzature per l’alimentazione artificiale, e in ultima analisi, con il suo apporto di salute, anche dai servizi della medicina e della farmacologia… cui prodest, a chi giova, se non alle neo-mamme e ai neonati, cioè agli ultimi fra gli elementi produttivi della società?
Alcuni operatori però cominciano ad essere più informati. Le informazioni corrette, vivaddio, dopo due decenni in cui pochi si sono dati molto da fare, cominciano a diffondersi anche attraverso i canali più istituzionali e i mass media, sebbene siano mimetizzate e mescolate ancora in una quantità di sciocchezze. Nessuno più sostiene che le poppate vanno fatte ogni 4 ore e mezzo, come, ricordo, si diceva negli anni '70. Nessuno più afferma che il neonato nelle prime 24 ore non ha bisogno di poppare e va lasciato a digiuno perché deve smaltire i liquidi in eccesso. Nessuno più ha il coraggio di dire, almeno non ad alta voce, che il latte artificiale fa crescere i bambini più sani e più forti di quello materno. Anzi, molti operatori oggi sanno che il bambino può essere attaccato male e magari conoscono la posizione sottobraccio o altre prese ancora più raffinate; conoscono l'esistenza del Dispositivo per l'Alimentazione Supplementare per dare la giunta al neonato mentre poppa al seno materno; hanno accettato, seppure in maniera parziale e distorta, la filosofia dell'allattamento "a richiesta"; alcuni sono anche informati sulle più recenti ricerche e sanno della fase di calibrazione della lattazione, dei riflessi di emissione multipli, dell'inesistenza anatomica delle cisterne lattifere e della regolazione autocrina della produzione di latte.
Quello che non sanno ancora fare, è aiutare la mamma. Non sono in grado di analizzare una poppata o una suzione e correggerne le impostazioni errate. Non sono in grado di stimare correttamente il trasferimento di latte e a volte sottovalutano o sopravvalutano i problemi. Non sanno trasmettere le nuove conoscenze alla madre. Non sanno elaborare insieme a lei la strategia appropriata per aiutare quel neonato, per salvare quell'allattamento. Non sono a volte in grado neanche di diagnosticare con precisione un problema di allattamento, di fare un'anamnesi che li conduca nella giusta direzione. Analizzare la storia di un allattamento in crisi è un percorso tortuoso e labirintico in cui ci si può facilmente perdere, specie se si pensa di avere già tutte le risposte e si è fermamente convinti della bontà di certe soluzioni. Se si ha fretta di offrire la soluzione, si perde l’accesso a una risorsa immensa: la madre e il neonato. Le informazioni non fluiscono sempre facilmente dalla mamma in difficoltà verso l'operatore sanitario, e la comunicazione può facilmente bloccarsi senza che nessuno se ne renda conto.
I veri bisogni, paure, aspettative delle madri il più delle volte non vengono nemmeno espressi al medico, per il timore (spesso fondato) di essere troppo frettolosamente giudicate, sgridate, equivocate. I consigli del medico non vengono compresi, recepiti, seguiti. Alla fine le mamme mentono ai pediatri, facendo loro credere di aver seguito le indicazioni mentre hanno invece trovato una soluzione personale, più o meno efficace, che permettesse loro di salvaguardare cose per loro importanti quando l’aumento di peso del bambino, ma difficili da spiegare. E i pediatri, privati del “feedback” dei loro pazienti, continuano ad andare avanti con gli stessi errori, convinti di fare bene. L’operatore sanitario, proprio per la sua formazione, tende a intervenire immediatamente con una risposta “terapeutica”, quando nel caso di un allattamento in difficoltà gli si chiede tutt’altro tipo di intervento, per il quale nulla l’ha preparato. Così molti pediatri non ascoltano abbastanza e si affrettano ad offrire "soluzioni" a donne che, per sopravvivere in una cultura che mette in dubbio continuamente la loro competenza, spesso chiedono loro soltanto di essere rassicurate e sostenute nella strategia che hanno scelto.
Questi operatori, sinceramente desiderosi di aiutare, si impegnano più del dovuto e moltiplicano gli sforzi insieme alle mamme, ma spesso nonostante tutto l'allattamento declina, e si rafforza il pessimismo e la frustrazione. I più arditi fra loro sfidano il giudizio dei colleghi e si avventurano senza sostegno in una terra ignota, abbandonando i vecchi criteri e le vecchie strategie che, seppure in genere erano d’ostacolo per la maggioranza degli allattamenti, pure nella maggioranza dei casi non mettevano a rischio lo stato nutrizionale del bambino; ora a volte l’operatore ha realmente difficoltà a sentirsi sicuro di quello che fa, e certe volte gli mancano gli elementi di informazione e di esperienza per puntellarsi, per muoversi bene mentre sperimenta con la mamma le “nuove” strategie.
Solo se gli operatori sono molto ostinati e molto fortunati, riescono a trovare e intraprendere il giusto percorso formativo, e poi hanno la forza di modificare la prassi di anni di pratica (il che non è facile) e di sperimentare quello che per loro è un campo totalmente nuovo; e così, con mesi e anni di esperienze differenti, cominciano a scoprire un nuovo mondo che gli offre una visione finalmente reale dell'allattamento umano, dotandoli nello stesso tempo di nuovi strumenti per aiutare e sostenere le madri.
Fortunati può significare, ad esempio, che fanno parte di un'Azienda illuminata che rende loro accessibili occasioni di formazione e aggiornamento adeguato; oppure che conoscono l’inglese e sanno navigare in Internet abbastanza bene da trovarsi da soli le fonti di aggiornamento attendibili; molti, più di quanti si possa immaginare, si pagano la formazione di tasca propria.
Ma certo questi non sono nel mainstream. Soffrono dello stesso isolamento e incomprensione che patisce la mamma che allatta più dei canonici 4 mesi. Sono spesso tacciati di essere talebani dell’allattamento, proprio come accade a quelle mamme. La scelta che hanno compiuto complica loro la vita, perché l’organizzazione sanitaria, sul territorio e in ospedale, non è fatta per i medici che vogliono sostenere gli allattamenti più di quanto lo sia per le mamme e i bambini che vogliono attuarli. Devono combattere con protocolli inappropriati, o con l’assenza di protocollo. Si trovano spesso sulla difensiva con i colleghi, i quali a volte percepiscono il loro approccio come una muta critica nei loro confronti, un mettere in dubbio la propria professionalità – proprio come le mamme che allattano al seno a volte ricevono reazioni difensive dalle mamme che danno il biberon, e che si sentono messe in discussione solo perché loro invece continuano l’allattamento, magari per molti mesi. Mancano, ancora, di un linguaggio adatto per descrivere la normalità dell’allattamento materno.
Questa normalità, pezzetto per pezzetto, dovremo costruirla un po’ tutti insieme, madri e operatori, abbattendo tutte le barriere che impediscono di percepire ciò che stiamo facendo per quello che è: consentire che si realizzi pienamente il modo di accudire il bambino che la natura assicura alla specie umana – offrire il seno e le braccia materne finché il piccolo non mostri di non averne più bisogno.
Testo di Antonella Sagone
Ua Elikah Essalam! by alFaris