Curry ha scritto: io non sarei riuscita ad accettare sberle e calci: avrei lasciato che si sfogasse, questo sì, anche urlando, ma non accetto che la rabbia passi dalla violenza fisica su altri, mai e su nessuno. Se invece intenedevi che si agitava e per questo ti urtava, è un altro conto. Se invece era una sberla diretta, mai l'avrei lasciata passare. E non l'avrei fermata nè con un "no" nè con un'altra sberla, ovviamente, ma con parole e azioni. Ovvero, se le parole non bastavano, potevo anche arrivare a lasciarlo com'era, metà vestito e metà no, ma mai avrei accettato di soprassedere su una cosa simile.
Questo per due ragioni. La prima, per me indiscussa, è che la violenza non si usa, e la impedisco sempre. Il secondo è il mio carattere, e con questo dobbiamo convivere: posso accettare di camminare su libri e macchinine, cosa che magari altri non sopportano, ma non una sberla datami volontariamente.
Tu dici che è passatat da sola, certo, però io mi chiedo perchè sia arrivata. Non è detto che il motivo si sia risolto, forse è ancora lì
Sai, non posso dire che sia stato facile, ma sono sicura che sia stata la cosa giusta. Tu parli di violenza volontaria. Ecco, io sono sicura che lui le sberle che mi dava non me le voleva dare, non voleva farmi male, farmi rappresaglie, punirmi. Lui semplicemente non riusciva a fare altro. Se io gli avessi detto "questo che fai è sbagliato, non si fa, mi fa male" lui avrebbe capito semplicemente "tu non vai bene". Neppure lui sapeva che gli succedeva, perché si ribellava, era come se cercasse disperatamente di comunicare senza riuscirci. Se vuoi possiamo riflettere sulla forzatura che per certi bambini possono essere i vestiti e ancor più i pannolini in cui noi gli insegnamo a fare cacca e pipì (avessi saputo prima qualcosa dell'EC!). Oppure sul fatto che comunque per cambiarli li dobbiamo distogliere da qualcosa che li attrae o li assorbe completamente, che in genere siamo noi a decidere come e quando si cambiano e vestono (mi sono a volte chiesta che farei se mio marito arrivasse da me e mi dicesse: "ecco, ora ti metti questo e quest'altro e lo fai subito"). Oppure ho pensato che a volte il pannolino col suo contenuto (per quanto noi usiamo quelli di cotone) può bruciare e lui per non pensarci non se lo vuole togliere. I motivi di rifiuto possono essere tanti e io non sapevo, non capivo quale fosse quello giusto. In questa situazione io che faccio? Lo piglio di peso e faccio quel che devo fare. Sai che cosa significa dal suo punto di vista? Che gli do una inequivocabile dimostrazione di come io con la mia forza fisica possa piegarlo alla mia volontà in qualsiasi momento. Lascia perdere le mie giuste ragioni: che vuoi che ne sappia lui o che gli possa interessare in quel momento? Immaginati inerme nelle mani di un gigante che ti fa qualcosa che non vuoi e che non capisce quello che vorresti dirgli (lui per comunicare aveva "mamma" e "no" e il pianto), che fai? Non ti viene da smanacciare in giro e tirar calci? Come ti sentiresti così costretta e incompresa se pure ti dicessero "eh no, questo non si fa, mi dà fastidio?".
Ecco, io ho capito che troppo spesso noi applichiamo ai nostri figli il nostro punto di vista e non ci mettiamo nei loro panni. E così gli facciamo torto.
Anche lasciarlo lì, magari spazientita, lo avrei trovato ingiusto. Sarebbe stato comunque rifiutarlo in un momento di difficoltà. Anche questa secondo me è violenza. Da chi può aspettarsi di essere capito e amato un bambino se non da sua mamma? E chi è la persona più importante per un bambino se non la sua mamma? Chi ha su di lui potere di vita e di morte? Io so che posso schiacciarlo con un'occhiata: mi ricordo come si è coperto gli occhi disperato quando piccolino l'ho guardato con furore e come poi, tenendo gli occhi chiusi per non vedermi, ha cercato di stringersi a me per farsi proteggere da quella mamma arrabbiata.
Non posso essere santa e non sbagliare mai, ma devo essere sempre cosciente di quello che faccio e delle conseguenze del mio comportamento. Io sono l'adulta, lui il bambino, non mi stancherò mai di ripetermelo. Per insegnargli a rifuggire e respingere la violenza devo trovare dei modi non violenti. Non so se mi sono spiegata bene.
Con Mammafelice sono d'accordo. Lo dicevo, no?, che i bimbi sono diversi tra loro. Siamo noi mamme, che li studiamo e li conosciamo, che dobbiamo decidere come comportarci con ciascuno. Io volevo solo dire che l'ansia che si facciano male li può portare solo a farsi più male, non che non bisogna prestare attenzione, anzi: per poterli lasciar fare quello che vogliono da soli di attenzione bisogna farne, almeno all'inizio, molta di più, sulle circostanze e su sé stessi, per reprimere tutti gli "attento" che ti viene da dire. Ma, Mammafelice, tu che non sei ansiosa farai sicuramente quello che devi. Neppure io lascio che Carlo giri solo per strada. Magari dove non è trafficato a volte mi faccio aiutare a portare qualcosa o a spingere la bicicletta così lui è fiero della sua responsabilità e non si sogna di girare dove non dovrebbe.
Però a volte sento di dovergli riconoscere il diritto a fare le sue esperienze e anche a mettere in dubbio quello che gli dico. Io da piccola coi miei lo facevo sempre, sarà per questo che lo capisco. Vi faccio un esempio. Siamo stati malati quasi un mese, quindi niente uscite e bisognava inventarsi qualcosa per fare movimento. Noi quasi ogni giorno disfiamo il divano e coi cuscini e il pouf facciamo dei percorsi da scalare in salotto. Poi abbiamo un triciclo per girare per casa. Un giorno Carlo ha deciso che voleva andare col triciclo sul divano. Gli ho spiegato che non avrebbe funzionato e che sarebbe caduto giù. Lui mi ha guardato perplesso e ho capito che, appena avessi girato l'angolo, ci avrebbe provato. Allora ho messo cuscini per terra dappertutto e l'ho lasciato provare. Ovviamente è caduto col triciclo dal divano e si sarà anche fatto un po' male, per quanto sia caduto sui cuscini. Più che altro però piangeva perché non aveva funzionato. L'ho consolato con dolcezza, ho evitato di dirgli "visto, te l'avevo detto" e, quando l'ho visto calmo gli ho solo chiesto se pensava di volerlo rifare. Mi ha guardato serio e mi ha detto "no". Che volete? conosco la testa duro di mio figlio. Se gli avessi impedito di fare quello che voleva, se gli avessi fatto pesare la sua idea balzana, avrei solo innescato una lotta tra la mia e la sua volontà. Visto che potevo permettermelo, ho rispettato il suo desiderio di fare la prova e lui ha imparato da solo la lezione senza aggiungere allo scorno personale la mortificazione del mio giudizio. Non sempre le cose possono andare così lisce e così bene, ma credo che si debba sempre essere disposti a vedere se si può provare.
Io mi fido di quella testolina dura, non voglio dirle che cosa deve pensare, voglio che sia libera di impararlo da sola. Se ci si mette nella disposizione giusta, ci sono infinite occasioni di fornire questa possibilità. Ma, se si parte dal presupposto che i bimbi son furbetti, secondo me si va poco lontano.
Ciao, care mamme (è dura, è dura, lo so!),
Elisa