Un farmaco ogni giorno. Radiografia dell'Italia in pillole

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silvia caldironi
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Un farmaco ogni giorno. Radiografia dell'Italia in pillole

Messaggio da silvia caldironi » ven feb 08, 2008 1:31 pm

Prendiamo l'impotenza: nel medioevo ci si limitava a deriderla, nel '900 si psicanalizzava e oggi si cura (o forse esorcizza) con una pillola. Con questa regola negli ultimi anni il nostro Paese ha aumentato il consumo di farmaci a velocità impressionante, arrivando a ingurgitare 51,9 milioni di medicine ogni giorno. Cinque anni fa nella giornata di dieci italiani trovavano posto sette pillole, alla fine del 2007 la quota è salita a 8,8 e ora marciamo spediti verso il traguardo di una pasticca al giorno per ciascun cittadino, dalla culla alla vecchiaia.

Sarà per caso, o per sotterranee ragioni di marketing farmaceutico, ma c'è il cuore al primo posto fra gli organi da consolare passando per lo studio medico. Tra i primi trenta principi attivi consumati in Italia fra le mura domestiche (esclusi cioè quelli somministrati in ospedale) 18 sono pillole per l'organo che è antonomasia del sentimento. Combattono il colesterolo, abbassano la pressione, allargano le arterie, fluidificano il sangue e assestano il ritmo. Entrano in casa per un esame sballato e diventano abitudine quotidiana, che non ci abbandona più.

Quattro persone su dieci in Italia sono fedeli all'appuntamento con la pillola per il cuore: un dato che in Europa è secondo solo al Portogallo.
Poi c'è il ventre molle dell'uomo moderno, ed ecco che una medicina su dieci è chiamata a combattere una delle varie forme di mal di pancia. A chiudere il triangolo cuore-stomaco-cervello ecco le medicine per il sistema nervoso: terzo posto sul podio dei toccasana chimici con cinquanta dosi ogni mille persone.

A metterle insieme, tutte le pillole di una vita, si arriva alla cifra di 22.776 per gli uomini e 24.236 per le donne, che in media vivono più a lungo e durante l'età fertile si affidano ad antidolorifici e anticoncezionali. Geometrie, colori e principi attivi che messi insieme formano il caleidoscopio delle nostre sofferenze, il lubrificante della vita quotidiana, nei suoi momenti di dolore. Il sistema sanitario le prescrive, le conta, le sperimenta, le pesa e le spesa.

La scienza ci ha spiegato ormai tutto, ci mostra le immagini tridimensionali, la faccia buona e quella cattiva con gli effetti indesiderati. Vacilla però sulla domanda più importante: ma fanno davvero bene? "Sì, certo, è inutile soffrire quando abbiamo strumenti per combattere il dolore. Ed era ora che ce ne accorgessimo" risponde Giustino Varrassi, che presiede l'Associazione italiana per lo studio del dolore. "Non lo so, personalmente ne prendo il meno possibile. La mia media è di una pasticca di antidolorifico l'anno" dice invece Roberto Raschetti dell'Istituto superiore di sanità, coordinatore dell'Osservatorio sull'impiego dei medicinali da cui arrivano i dati annuali sul consumo.

Francesco Fedele, presidente della Società italiana di cardiologia, è molto chiaro: "Credo sia criminale non darli, laddove si affaccia un rischio di infarto. In alcune categorie, come quella dei malati di scompenso cardiaco, ne andrebbero forse somministrate forse di più". E Silvio Garattini, direttore scientifico dell'Istituto farmacologico Mario Negri: "I farmaci fanno bene ad una certa percentuale di pazienti. Ma non sappiamo quali. Gli studi sui grandi gruppi dimostrano che un certo principio attivo della classe delle statine ha effetti benefici sul tre per cento della popolazione. Ma chi sono i tre fortunati? E gli altri novantasette? Questo nessuno può dirlo".

L'invecchiamento della popolazione, che vede l'Italia in vetta al mondo insieme al Giappone, è ovviamente uno dei fattori che riempiono i cassetti delle farmacie. L'allargamento del concetto di malattia è un altro. "Un tempo chi provava dolore - dalla dismenorrea all'artrite - soffriva in silenzio. Oggi finalmente chiede aiuto alla medicina" dice Varrassi. "Basta con questa concezione della sofferenza come espiazione e viatico per il paradiso. Combattere il dolore è doveroso".

Raschetti legge in controluce le strategie di case farmaceutiche e società scientifiche: "In alcune branche della medicina si è seguita la strada di ricalibrare i limiti della normalità. Ovviamente verso il basso". E cioè come avviene negli Stati Uniti, dove si inizia a parlare di ipertensione (e quindi di una corrispondente medicina per combatterla) già con i 120 di massima (in Europa ci si comincia a preoccupare a 140).

In tre carceri britanniche è appena partita la sperimentazione la "pillola della buona condotta": vitamine, minerali ed erba di San Giovanni - è la tesi dell'università di Oxford - migliorano il funzionamento del cervello, e di riflesso la buona condotta dei detenuti. Al contrario, gli antibiotici - ha messo in guardia ieri il ministero della Salute britannico - se usati contro l'obiettivo sbagliato non fanno che selezionare i ceppi di batteri resistenti ai farmaci. "Insegnate ai vostri pazienti a non usarli contro raffreddori e semplici mal di gola" ha raccomandato il ministero londinese ai medici di famiglia.

Fonte: http://www.repubblica.it/

Pubblicato da Elena Dusi

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